Katia sentiva l’acqua colpirla
intorno al sesso, poi risalire ancora verso i seni. Elvira voleva prolungare la
sua sofferenza trattenendola sull’orgasmo. La ragazza sentiva i propri
capezzoli sempre più sensibili sotto il getto bollente. Di nuovo le tornò in
mente l’immagine di una bocca, di una lingua che la percorreva lungo tutto il
corpo.
“Lo vuoi dentro di te, vero,
piccola troia?!”, sentenziò la guardiana.
Katia non voleva darle la
soddisfazione di una risposta. Ma sapeva che le due donne avevano capito, il
suo corpo parlava per lei. Non poteva nascondere le proprie sensazioni. Si
contorceva sul pavimento con gli spasmi al basso ventre, piangendo di rabbia e
frustrazione, mentre Elvira dirigeva l’idrante fra le sue cosce divaricate. Ma
ora solo qualche goccia di rimbalzo ricadeva sul clitoride. Katia si rigirò con
una forza selvaggia, puntando i piedi contro le natiche e slanciandosi verso il
getto d’acqua in modo che la centrasse meglio, ormai schiava di quel vizio.
Scuoteva violentemente il capo da un lato all’altro come una forsennata, e più
di una volta si portò le mani in mezzo alle cosce per allargare le labbra della
fica. Voleva sentirsi invasa da quel getto, sentire finalmente il brivido
dell’orgasmo dentro di sé. Era una sensazione puramente animale. Le due
guardiane avevano risvegliato e stimolato ogni parte sessuale del suo corpo. Katia
non aveva mai avvertito un bisogno animale così intenso e una tensione così
violenta in mezzo alle cosce. Tutto il suo corpo bramava l’ultima spinta,
quella definitiva che l’avrebbe resa donna e le avrebbe fatto raggiungere il
colmo dell’orgasmo più intenso. Si rotolò ancora sui fianchi in un estremo
bisogno di quella esplosione sessuale. Ma Elvira sadicamente distolse il getto
dell’acqua dalla ragazza.
“No! Oh, no,
cosa..cosa mi state facendo? Perché… oh no. No!”, balbettò Katia, sicura che
sarebbe impazzita se non riusciva al più presto ad ottenere il sollievo di cui
aveva bisogno. Si umiliò pregando le due donne di liberarla da quella sofferenza.
In fondo erano donne anche loro. Potevano capire meglio di qualunque altro cosa
avevano scatenato e di cosa avesse bisogno. Improvvisamente percepì un
movimento al di là della fitta cortina di pioggia che le impediva la vista.
C’era qualcun altro insieme alle donne. Doveva aver impugnato il secondo
idrante, perché fu investita da un getto di acqua, stavolta gelida, che le
colpiva la fica. Provò un dolore improvviso e intenso come se qualcuno l’avesse
pugnalata. Emise un grido disperato mentre contemporaneamente il getto d’acqua
calda le arrivava invece sul viso. Sentì la sua fessura serrarsi e le pareti
vaginali contrarsi dolorosamente. L’acqua gelata la colpiva con violenza ancora
maggiore di quella calda.
Katia era stupita dall’acutezza delle proprie sensazioni.
Quando all’improvviso il getto gelido le colpì invece il petto, si sentì
mancare il respiro e ansimò cercando a fatica di tirare il fiato. Portò le mani
alla gola distogliendo il viso dal getto, mentre i suoi fianchi si dibattevano
ancora sul pavimento. Con un altro grido ricadde sul fianco sinistro,
strisciando verso la parete di fondo. Quanto tempo ancora avrebbe dovuto
sopportare quell’incubo, prima di perdere i sensi?
“Mi sembra pronta, adesso!”, disse una voce cavernosa
sconosciuta. La voce di un uomo! Era certamente un uomo quello che le stava di
fronte, al di là della nebbia, e fissava il suo corpo nudo arrossato e striato
dalla violenza dei getti, che strisciava sulle piastrelle. Katia udì una risata
più forte delle altre, ma ormai non le importava più nulla. Ora desiderava solo
che quel terribile getto d’acqua si fermasse.
Totalmente fuori di sé, Katia cercò di gridare. Ma la
violenza dell’acqua e gli spasmi che le scuotevano il corpo, glielo impedivano.
Strisciò sul pavimento graffiandolo con le unghie mentre sentiva il mondo
intorno a lei andare in frantumi. Sentiva che la propria mente stava cedendo e
non riusciva a mantenere il controllo sul corpo.
“Ohhhhhhhhhhhh!”, ansimò sopraffatta.
Il rumore dell’acqua copriva le voci e le risate che
venivano da dietro la fitta cortina bianca. Katia soffocava i propri
singhiozzi, faticando a respirare. La stanza sembrò oscurarsi di colpo. Stava
per perdere finalmente i sensi? In un certo senso sperava di svenire. Così non
avrebbe più visto i suoi aguzzini che la fissavano aspettando di vederla cedere
e abbandonarsi alle quelle sensazioni bestiali. Puntò nuovamente le dita sul
pavimento cercando di sottrarsi alla tortura. Sentiva i capezzoli irrigiditi
dal freddo e la tensione le faceva dolere i seni. Raggiunse finalmente la
parete cercando di aggrapparvisi con le unghie. Il suo corpo nudo si avvinghiò
a quel muro, il capo rovesciato sotto l’impeto dell’orgasmo che di nuovo stava
salendo. L’acqua la colpì alla schiena come una frustata. Le braccia di Katia
cedettero e la ragazza ricadde sul pavimento. La parete bianca di fronte a lei
si oscurò come se tutto il mondo le crollasse addosso, mentre veniva come mai le
era successo nella sua breve vita.
Finalmente l’acqua si fermò. Katia singhiozzava, raccolta
sul pavimento con le ginocchia al petto, in posizione fetale. Udì il rumore di
due pesanti stivali che si avvicinavano. Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e
fuggire, o almeno tentare di chiedere aiuto. Forse in quell’inferno c’era
ancora una persona sana di mente che avrebbe risposto alle sue invocazioni.
Sentiva ancora il proprio sesso scosso da spasmi, la pelle
del corpo tutta raggrinzita. Era una sensazione piacevole, deliziosa. Avrebbe
voluto restare lì per delle ore a godere il piacere dell’orgasmo in tutto il
corpo. Ma Bruto aveva altri progetti. Katia sentì qualcosa di freddo contro la
coscia sinistra. Lo stivale. L’uomo stava facendo scorrere la punta dello
stivale sul suo corpo, nel tentativo di rigirarla. Lei emise un gemito
stringendo ancora di più le ginocchia. Lui alzò il piede premendole lo stivale
sul viso. Per un attimo la ragazza pensò che l’avrebbe frantumata come un uovo.
Ansimando, Katia sentiva la pressione dello stivale sulla guancia che le
schiacciava le ossa e le premeva il capo contro il pavimento. Era quasi
svenuta.
“Ti insegneremo a galoppare come tutte le altre, qui
dentro”, disse l’uomo dandole un calcio.
Katia riprese i sensi mentre un altro calcio le arrivava sul
sesso. Si sollevò sulle mani e sulle ginocchia in un equilibrio ancora
instabile.
“Mettete via gli idranti. Me ne occuperò io in privato”,
disse Bruto rivolto alle due donne.
Le guardie si scambiarono qualche battuta ridacchiando e
obbedirono all’ordine dell’uomo. Katia giaceva ancora in un angolo rannicchiata
con le ginocchia al petto. Sentiva i capelli bagnati che le ricadevano sul
collo e sulla schiena in un groviglio di nodi. Desiderava un asciugamano.
Desiderava avere con sé la valigia che aveva preparato con tanta cura per poter
indossare qualcosa di decente. Invece si trovava lì nuda, come un animale
braccato, tutta dolorante e bagnata, esposta agli sguardi lascivi di quei
porci. Elvira e la sua compagna avevano riposto gli idranti ed erano sparite
dietro una porta dopo aver dato un’ultima occhiata alla ragazza.
“Adesso farai quello che ti dico io e andrà tutto bene. Non
sono un tipo gentile come quelle due”.
Katia a quel punto avrebbe voluto richiamare indietro le due
donne. Ma era chiaro che Bruto era il capo. Facendo schioccare le dita fece
cenno alla ragazza di seguirlo. Lei tentò di alzarsi in piedi. Lui scosse la
testa.
“No! Voglio che strisci. Vieni qui, piccola cagna. A
proposito, come ti chiami?”.
“Katia”, sussurrò la ragazza tremante di paura.
“Bene, da ora sarai Cagna Katia”, sorrise l’uomo passandosi
la lingua sul labbro inferiore.
Era un uomo attraente, pensò Katia, sollevandosi sulle mani
e le ginocchia. Si sentiva ridicola e piena di vergogna. Ma il suo aspetto
maschio era controbilanciato dall’odio e dal sadismo che gli si leggeva sul viso.
Katia non era abituata a gente del genere, ma stava cominciando a imparare.
Lui schioccò ancora le dita sibilandole, “Vieni, Cagna Katia.
Vieni avanti a quattro zampe”.
Con una mano davanti all’altra e le ginocchia che si
trascinavano a fatica sul pavimento, Katia attraversò la stanza. Da qualche
parte nella costruzione sentì la porta metallica di una cella che si chiudeva.
Intorno a lei sgocciolavano i sifoni delle docce maltenute. Tutto sembrava
irreale, le sembrava di muoversi dentro un film dell’orrore. Si fermò a qualche
passo da Bruto, notando la protuberanza che pulsava nei suoi pantaloni. Dalla
sua limitata esperienza con Gianni, sapeva cosa aspettarsi da quell’uomo.
L’avrebbe violentata brutalmente in quel posto squallido e sudicio, e non ci sarebbe
stato nessuno ad aiutarla. Il suo sogno di una romantica prima volta si spezzò
in centinai di pezzi cadendo rovinosamente nella realtà.
“Elvira dice che sei ancora vergine. Può darsi”, disse Bruto
con le mani sui fianchi, “ma questo non significa che la tua bocca sia così
pura”.
“C-cosa?”, disse Katia stupita.
Bruto si chinò prendendole il viso tra le due mani. Lei
sentì le unghie dell’uomo entrarle nella carne.
“Succhiare, fare un pompino. Ecco cosa intendo!”.
“No!”, gridò Katia.
Tentò di ribellarsi dalla stretta ma le sue ginocchia
scivolarono sul pavimento. Bruto le tirò un calcio. La ragazza emise un grido e
ricadde col viso sulle piastrelle. Ora sentiva le mani dell’uomo che la
risollevavano per i capelli, le giravano la testa e la premevano contro i suoi
pantaloni. Sentì l’odore acuto della stoffa mal lavata misto a quello del sesso
che c’era sotto.
“No! Non fatemi questo!”.
Bruto la spinse indietro, si levò il copricapo da guardiano
e lo appese a un chiodo. Si passò una mano tra i capelli neri e cominciò a
sbottonarsi i pantaloni. Katia lo fissava mentre si toglieva la cintura e si
apriva la patta. Non indossava gli slip. Katia intravide un sesso scuro che
premeva contro l’apertura. Poi lui si accostò nuovamente alla ragazza, col
cazzo rigido e duro del tutto fuori dai pantaloni. La afferrò, mentre cercava
di svincolarsi, ma lui la teneva saldamente per la testa. Katia sentì quel
cazzo mostruoso che la colpiva in pieno viso, premendo la punta arrossata sui
suoi occhi, mentre i testicoli le schiacciavano la guancia.
“Prova a farmi qualche scherzo, come mordermi, e sei finita.
Intesi?”, le intimò.
Katia non ebbe nemmeno la possibilità di rispondere. Bruto
la spinse indietro piantandole davanti il grosso membro per fissare con gusto
sadico il viso pieno di terrore e repulsione della verginella.
Lei vide che misurava più di venti centimetri. E lui davvero
voleva ficcarle in bocca quell’arnese mostruoso? Non ce l’avrebbe mai fatta.
Contrasse i muscoli del viso mentre sentiva le dita dell’uomo che le forzavano
la mascella. Fu costretta ad aprire la bocca, il dolore era troppo intenso.
Singhiozzando, dischiuse le labbra e serrò gli occhi, mentre le lacrime le
scendevano sul viso.
“Ummmmmmmmffffffff!”, grugnì lei.
Senza tanti preliminari Bruto spinse brutalmente il cazzo
nella bocca della ragazza e rise sentendola tossire, soffocata da quella
violenta invasione. La grossa verga scivolò sulla sua lingua. Katia sentiva la
tensione dei muscoli del collo mentre cercava disperatamente di distogliere il
capo. Ma Bruto era molto più forte e la teneva ferma per la nuca ficcandole il
membro sempre più a fondo. Lei lo sentiva sospirare mentre le affondava le
unghie nella carne.
“Oh, si, piccola, dammi la tua bocca. Muovi la lingua.
Pompa, piccola troia! Quando ti dico succhia, succhia! E fammi sentire la
lingua!”, grugni Bruto colpendola con uno schiaffo al viso, che la fece
rintronare e dare uno scossone al cazzo che aveva in bocca. Katia si scostò i
capelli dagli occhi, ancora sotto shock per quello che era costretta a fare:
succhiare il cazzo di un uomo, uno sconosciuto, senza amore o piacere, solo
violenza. Lei che ne aveva a malapena intravisto uno, prima che sua madre
irrompesse nella stanza e la trovasse a letto con Gianni. E adesso era in
ginocchio e costretta ad averne uno in bocca. Riusciva a stento a tenerlo tra
le labbra. Aveva uno strano sapore, un po’ salato e selvatico. Inghiottì la
saliva e chiuse gli occhi domandandosi quando quella umiliazione sarebbe
finita.
“Dentro e fuori, piccola. E’ così che si scopa con la bocca.
Ehi, è favoloso vederti fare il primo pompino”, grugnì Bruto, “anche se non sei
brava, mi eccita farmi succhiare da una bocca vergine”.
La voce dell’uomo ora aveva un tono più basso e più grave,
mentre le sue dita premevano a forza sulla nuca della ragazza. Il cazzo era
nella bocca di Katia per più di metà della sua lunghezza. Lo spinse ancora più
a fondo allargandole al massimo le labbra. Ora lei poteva sentire che le
riempiva le guance e le toccava le tonsille, in fondo alla gola. Era sempre più
difficile inghiottire la saliva che le riempiva la bocca, anzi impossibile, e
la bava le scendeva dagli angoli, oltre che impedirle di respirare. Katia cercò
di fermare i movimenti della testa e quel terribile andirivieni a cui la costringeva
l’uomo. Le ginocchia nude sulle piastrelle le dolevano, in quella posizione, ma
il grosso guardiano era deciso ad ottenere quello che voleva ad ogni costo. Ma
non era solo questo ciò che voleva.
“Oh, si, adesso basta. Fermati o mi scaricherò nella tua
bocca in questo stesso istante”.
Katia tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a
inghiottire e liberarsi di tutta la saliva accumulata, appena si sentì liberata
dal grosso membro. Era finita anche questa prova. Si sentiva sollevata ma allo
stesso tempo dispiaciuta e strana. Malgrado la vergogna che provava, cominciava
anche a sentire una strana sensazione di calore al basso ventre. Non
travolgente e impetuosa come prima, durante l’orgasmo, ma sottile, di testa,
causata dall’umiliazione e da un atto sessuale con un uomo, seppur forzato. Si
scoprì eccitata e in fondo un po’ delusa della brusca interruzione. Pazienza,
ma almeno non si ritrovò morta soffocata in un mare di sborra.
“In piedi!, le ordinò Bruto, senza ammettere repliche o
indugi. La sollevò dal pavimento prendendola per il collo.
“Andiamo fuori di qui. Non intendo sprecare il succo del mio uccello nella tua bocca,
quando ho un posto migliore per metterlo, disse.
Ancora una volta la ragazza cercò di liberarsi dalla sua
stretta. Ma l’uomo l’afferrò per i capelli tirandola verso di sé. Katia sentì
un dolore acuto. Gridò lottando contro quelle mani che le strappavano il cuoio
capelluto mentre lacrime di dolore le scendevano sul viso. Lanciò un grido
ancora più forte quando Bruto la trascinò sul pavimento, sempre tirandola per
la medesima presa. La stava portando fuori dalla stanza delle docce, attraverso
lo squallido corridoio con una fila di lavandini sudici e vecchi specchi
rigati. Bruto diede un ulteriore strattone ai suoi capelli, poi ce la trascinò
tirandosela dietro come un animale catturato. Katia non poteva vedere dove la
stava portando. Udì il tintinnio di un mazzo di chiavi, ma Bruto la teneva
ancora per i capelli e non poteva vedere dove si trovassero.
“Dentro!”, disse l’uomo spingendola attraverso l’uscio con
un calcio.
Katia si ritrovò in una stanzetta illuminata solo da una
squallida lampadina che pendeva dal soffitto. I suoi piedi urtarono qualcosa di
metallico. Doveva essere un piccolo soggiorno usato dai guardiani negli
intervalli di lavoro. Bruto, con i pantaloni ancora aperti, la spinse verso il
materasso di una brandina, contro il muro.
“Stenditi sulla pancia!”, le ordinò.
Katia aveva imparato a ubbidire e non chiedere nulla. Fece
come le aveva ordinato, tremando di terrore e di ansia. Portando lentamente una
mano alla bocca si ripulì le labbra e le guance dalla sua stessa saliva intrisa
del forte sapore di cazzo dell’uomo. La stoffa ruvida de
l materasso le pungeva
i seni e la pancia. Quando sentì la rete sobbalzare sotto di lei, capì che
Bruto le stava sopra.
“Adesso ci divertiamo per davvero!”, disse sghignazzando,
già con la bava alla bocca.
Katia sentiva il suo respiro pesante e il fruscio dei
pantaloni che gli scivolavano lungo i fianchi.
“Tira un po’ più su quel buco, come si conviene a una troia
che vuol farsi infilzare”, fu l’ordine perentorio. “Sono sicuro che non aspetti
altro”.
Katia arrossì, avrebbe voluto scoppiare a piangere.
Quell’uomo le diceva tutte quelle cose orribili, e non c’era niente di vero.
Lentamente sollevò le ginocchia e il culo. L’umida fessura era completamente
esposta, ora. Sapeva che la stava guardando e che l’aveva vista poco prima contorcersi
sul pavimento del bagno con le cosce spalancate. Come poteva pensare che non la
considerasse una troia?
Nella tensione dell’attesa, udì un rumore. L’uomo stava
estraendo qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Si voltò giusto in tempo per
veder balenare la lama di un coltello.
“No!”, urlò con tutte le sue forze. “Farò tutto quello che
vuole. Ma non mi uccida!”.
Ma un colpo alla nuca la zittì riducendola ancora una volta
in completa balia dell’uomo.
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