“E’ stato bello, piccola. Accidenti, ci divertiremo un
sacco, qui. Vedrai, ti piacerà la tua nuova casa”, disse Bruto soddisfatto.
Katia singhiozzava, tutta rossa in viso. Raccolse al petto
le ginocchia rannicchiandosi in posizione fetale. Era stata violentata. Aveva ricevuto dentro
di sé il cazzo di uno sconosciuto, era stata scopata come un animale, come una
bestia, come una cagna.
“Adesso è ora di alzarci. Devi presentarti alla direttrice e
raggiungere le altre ragazze”, disse Bruto, scendendo dal letto. Raccolse i
suoi vestiti mentre Katia rimaneva immobile. Poi la ragazza sentì un sibilo
seguito dal rumore secco di una manata che la colpiva sulle natiche. Strillò
ritornando in sé e fissò l’uomo con le lacrime agli occhi, sfregandosi i glutei
arrossati.
“Questo non è un albergo. Quando ti si dice di muoverti,
devi muoverti! Andiamo ora”, ordinò Bruto andando a raccogliere i vestiti di
lei e gettandoglieli addosso.
“Adesso ti farai una doccia per ripulirti. Muoviti!”,
rincarò lui.
“D…doccia?”, ansimò Katia, stringendosi al petto gli abiti.
Bruto rovesciò il capo all’indietro scoppiando in una fragorosa risata.
“Non preoccuparti. Elvira e la sua amica saranno occupate
per un po’. E adesso muoviti!”.
La spinse fuori dalla stanza e chiuse a chiave la porta,
quindi l’accompagnò alle docce. Erano ancora deserte. Bruto rimase lì,
appoggiato alla parete con le braccia incrociate sul petto. Katia rabbrividì
sentendo lo sguardo dell’uomo che percorreva il suo corpo nudo. Si vergognava,
nonostante avesse abusato di lei fino a pochi minuti prima. Si insaponò tra le
cosce sentendo la fica ancora umida e calda, cacciando indietro le lacrime. Tutto
era successo in un giorno, un solo brevissimo giorno! Era incredibile! Era
stata trattata in un modo orribile, derisa, umiliata, e infine violentata!
Mentre si spruzzava il viso con l’acqua fredda, la ragazza stentava a credere
che tutto ciò fosse realmente successo. Ma lo sperma e il sangue che stava
lavando dal suo sesso violato le ricordavano che era tutto vero.
“Sbrigati! Non possiamo star qui tutto il giorno. Non stai
in villeggiatura”. Bruto le gettò un asciugamano sporco raccolto da terra e
continuò a fissarla mentre si asciugava e si rivestiva. Non riusciva a trovare
i sandali e la ferita al piede sanguinava ancora. Lì accanto c’era la sua
valigia, quella che prima le avevano sequestrato. Bruto gliela lanciò col piede
mentre lei finiva di abbottonarsi il modesto vestitino stampato. Una volta
usciti dalle docce, la diresse con brevi cenni autoritari lungo un
interminabile corridoio. Si sentiva nell’aria il tipico odore degli edifici
pubblici, il tanfo del disinfettante che copriva ogni cosa. Attraverso una
finestrella rettangolare della porta, Katia intravide quelle che dovevano
essere le aule. Le altre ragazze erano divise in piccoli gruppi, occupate a
svolgere un compito.
“Ci arriverai quando avrai dimostrato di collaborare”, la
minacciò Bruto, seguendo il suo sguardo.
Katia rabbrividì. Riusciva a stento ad immaginare cosa
volessero significare le parole dell’uomo. Girarono in un altro corridoio e si
ritrovarono nel settore riservato agli uffici. Katia sentì con sollievo la
soffice moquette sotto i piedi nudi. C’era un’aria di calma, quando si
fermarono davanti a una pesante porta di quercia. Una piccola targa annunciava
l’ufficio della Direttrice.
Bruto si tolse il cappello, bussò e ottenuto il permesso
aprì la porta. Fece cenno alla ragazza di seguirlo. Era un ufficio molto ampio,
arredato con pochi mobili eleganti. Dietro la scrivania in legno massiccio
sedeva la signora Federica, segretaria personale della direttrice. La donna
stava battendo a macchina e si interruppe per un momento, abbassando gli
occhiali per vedere chi fosse entrato. Fece un piccolo sorriso e riprese il
proprio lavoro.
“E’ un caso particolare?”, chiese la donna con una voce
acuta.
“Sì, signora. C’è la dottoressa Storti?”, chiese Bruto con
rispetto.
Il silenzio cadde pesante quando la donna smise di battere a
macchina. Quindi si girò e annuì leggermente.
“Sì, ma è terribilmente occupata. Per via di un pezzo grosso
venuto da Roma. Posso….”, cercò di prendere tempo la donna.
“Credo che sarà interessata a questo caso”, incalzò Bruto.
Ci fu un’altra pausa di silenzio. Durante tutto quel tempo Katia
aveva tenuto la testa bassa, con lo sguardo al pavimento. Ora sentendosi
osservata sollevò il viso e fissò la signora Federica. Anche in quella donna
non c’era ombra di pietà né di compassione. Poi la donna tornò al suo lavoro,
come se la ragazza non fosse mai esistita. Bruto le fece lasciare il bagaglio
accanto a sé e la spinse con le mani sulle spalle verso l’altra porta. Entrarono
in un altro ufficio, molto più elegante. Lì, in piedi di spalle davanti alla
finestra, c’era la direttrice dell’istituto, la responsabile di tutto quello che
accadeva.
Appena la porta si fu richiusa, la signora Storti, la
Direttrice, si tolse gli occhiali e li rigirò in mano mentre la studiava. Katia
si morse il labbro, aggrappandosi a una tenue speranza di salvezza e domandandosi
se l’avrebbe lasciata parlare. Poi cominciò a balbettare frasi sconnesse.
“Mi hanno violentata!, gridò quasi, mentre le lacrime le
scendevano sul viso.
“Oh. Davvero?, fu la prima reazione.
“Sì. Prima due donne mi hanno violentata con l’idrante….”.
“Con tutto l’idrante? Mia cara, la cosa mi sembra altamente
improbabile….”.
“No, no… con l’acqua. Elvira e l’altra… e poi…
quest’uomo….”.
Katia scoppiò a piangere e si coprì il volto con entrambe le
mani, lottando per ritrovare il controllo.
“Quest’uomo poi mi ha violentata. Mi ha portata in uno
stanzino…. e mi ha violentata”.
Non poté continuare. Le lacrime soffocavano le sue parole.
“E’….tutto?”, chiese la Direttrice.
Katia non poteva credere a quel che udiva. Smise di
piangere, col gelo nell’anima, e rimase a fissare allibita quel mostro di
donna.
“Si è comportata bene?”, chiese la dottoressa Storti,
ignorandola di colpo.
Bruto si strinse nelle spalle, guardando la ragazza con un
sogghigno.
“Abbastanza, signora. Penso che abbia delle grandi
potenzialità”, rispose lui.
“Se verrà affidata alla vostra guida personale, vero?”. La
Direttrice si toccò lo chignon sulla nuca, poi girò intorno al tavolo
appoggiandosi pesantemente al bordo. Da quando l’aveva fatta entrare, osservava
attentamente la ragazza per valutarla. Ma questa teneva sempre gli occhi a
terra. Allungò quindi una mano e prese fra le dita il mento di Katia per
sollevarle il viso.
“Molto carina. Sì, capisco perché sia voi che Elvira e la
sua amica vogliate...ehm..occuparvi della sua educazione. Katia? Katia
Lopresti, suppongo. Elvira mi ha portato il vostro fascicolo, dopo quel piccolo
incidente. E’ curioso”, disse piegando le labbra sottili in un sorriso, “vostra
madre sembra convinta che siate una specie di pervertita sessuale”.
“Lo è davvero, signora. Quando la scopavo, non voleva
lasciare andare il mio uccello, e….”.
“Risparmiatemi i dettagli, Bruto. So come vanno queste cose.
Così..”, continuò con una voce più dolce, rivolta alla ragazza, “..sembra che
vostra madre avesse ragione, benché sia stato un errore mandarvi qui per una
correzione. Comunque, adesso che ci siete, dovete adeguarvi alle nostre
regole”.
“Come…come potete fare questo?”, balbettò Katia. “Non potrà
andare avanti per sempre. Vi prego, lasciatemi andare. Io non ho fatto niente
di male”, fu la supplica della ragazza.
“Per rispondere alla vostra domanda”, disse in tono gelido
la dottoressa Storti, in vena di spiegazioni,
“questo fa parte del mio lavoro. Sono riuscita a radunare intorno a me
alcuni amici fidati. Quello che avete sperimentato oggi non capita a tutte le
ragazze. Voi siete un caso speciale e quindi sarete scelta per un trattamento
particolare. Per quanto riguarda la seconda domanda, resterete qui per tutto il
periodo deciso da vostra madre. E’ tutto. Portatela in cella, Bruto, poi ne discuteremo.
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