martedì 3 giugno 2014

L’ISTITUTO – 5

“E’ stato bello, piccola. Accidenti, ci divertiremo un sacco, qui. Vedrai, ti piacerà la tua nuova casa”, disse Bruto soddisfatto.
Katia singhiozzava, tutta rossa in viso. Raccolse al petto le ginocchia rannicchiandosi in posizione fetale.  Era stata violentata. Aveva ricevuto dentro di sé il cazzo di uno sconosciuto, era stata scopata come un animale, come una bestia, come una cagna.
“Adesso è ora di alzarci. Devi presentarti alla direttrice e raggiungere le altre ragazze”, disse Bruto, scendendo dal letto. Raccolse i suoi vestiti mentre Katia rimaneva immobile. Poi la ragazza sentì un sibilo seguito dal rumore secco di una manata che la colpiva sulle natiche. Strillò ritornando in sé e fissò l’uomo con le lacrime agli occhi, sfregandosi i glutei arrossati.
“Questo non è un albergo. Quando ti si dice di muoverti, devi muoverti! Andiamo ora”, ordinò Bruto andando a raccogliere i vestiti di lei e gettandoglieli addosso.
“Adesso ti farai una doccia per ripulirti. Muoviti!”, rincarò lui.
“D…doccia?”, ansimò Katia, stringendosi al petto gli abiti. Bruto rovesciò il capo all’indietro scoppiando in una fragorosa risata.
“Non preoccuparti. Elvira e la sua amica saranno occupate per un po’. E adesso muoviti!”.
La spinse fuori dalla stanza e chiuse a chiave la porta, quindi l’accompagnò alle docce. Erano ancora deserte. Bruto rimase lì, appoggiato alla parete con le braccia incrociate sul petto. Katia rabbrividì sentendo lo sguardo dell’uomo che percorreva il suo corpo nudo. Si vergognava, nonostante avesse abusato di lei fino a pochi minuti prima. Si insaponò tra le cosce sentendo la fica ancora umida e calda, cacciando indietro le lacrime. Tutto era successo in un giorno, un solo brevissimo giorno! Era incredibile! Era stata trattata in un modo orribile, derisa, umiliata, e infine violentata! Mentre si spruzzava il viso con l’acqua fredda, la ragazza stentava a credere che tutto ciò fosse realmente successo. Ma lo sperma e il sangue che stava lavando dal suo sesso violato le ricordavano che era tutto vero.
“Sbrigati! Non possiamo star qui tutto il giorno. Non stai in villeggiatura”. Bruto le gettò un asciugamano sporco raccolto da terra e continuò a fissarla mentre si asciugava e si rivestiva. Non riusciva a trovare i sandali e la ferita al piede sanguinava ancora. Lì accanto c’era la sua valigia, quella che prima le avevano sequestrato. Bruto gliela lanciò col piede mentre lei finiva di abbottonarsi il modesto vestitino stampato. Una volta usciti dalle docce, la diresse con brevi cenni autoritari lungo un interminabile corridoio. Si sentiva nell’aria il tipico odore degli edifici pubblici, il tanfo del disinfettante che copriva ogni cosa. Attraverso una finestrella rettangolare della porta, Katia intravide quelle che dovevano essere le aule. Le altre ragazze erano divise in piccoli gruppi, occupate a svolgere un compito.
“Ci arriverai quando avrai dimostrato di collaborare”, la minacciò Bruto, seguendo il suo sguardo.
Katia rabbrividì. Riusciva a stento ad immaginare cosa volessero significare le parole dell’uomo. Girarono in un altro corridoio e si ritrovarono nel settore riservato agli uffici. Katia sentì con sollievo la soffice moquette sotto i piedi nudi. C’era un’aria di calma, quando si fermarono davanti a una pesante porta di quercia. Una piccola targa annunciava l’ufficio della Direttrice.
Bruto si tolse il cappello, bussò e ottenuto il permesso aprì la porta. Fece cenno alla ragazza di seguirlo. Era un ufficio molto ampio, arredato con pochi mobili eleganti. Dietro la scrivania in legno massiccio sedeva la signora Federica, segretaria personale della direttrice. La donna stava battendo a macchina e si interruppe per un momento, abbassando gli occhiali per vedere chi fosse entrato. Fece un piccolo sorriso e riprese il proprio lavoro.
“E’ un caso particolare?”, chiese la donna con una voce acuta.
“Sì, signora. C’è la dottoressa Storti?”, chiese Bruto con rispetto.
Il silenzio cadde pesante quando la donna smise di battere a macchina. Quindi si girò e annuì leggermente.
“Sì, ma è terribilmente occupata. Per via di un pezzo grosso venuto da Roma. Posso….”, cercò di prendere tempo la donna.
“Credo che sarà interessata a questo caso”, incalzò Bruto.
Ci fu un’altra pausa di silenzio. Durante tutto quel tempo Katia aveva tenuto la testa bassa, con lo sguardo al pavimento. Ora sentendosi osservata sollevò il viso e fissò la signora Federica. Anche in quella donna non c’era ombra di pietà né di compassione. Poi la donna tornò al suo lavoro, come se la ragazza non fosse mai esistita. Bruto le fece lasciare il bagaglio accanto a sé e la spinse con le mani sulle spalle verso l’altra porta. Entrarono in un altro ufficio, molto più elegante. Lì, in piedi di spalle davanti alla finestra, c’era la direttrice dell’istituto, la responsabile di tutto quello che accadeva.
Appena la porta si fu richiusa, la signora Storti, la Direttrice, si tolse gli occhiali e li rigirò in mano mentre la studiava. Katia si morse il labbro, aggrappandosi a una tenue speranza di salvezza e domandandosi se l’avrebbe lasciata parlare. Poi cominciò a balbettare frasi sconnesse.
“Mi hanno violentata!, gridò quasi, mentre le lacrime le scendevano sul viso.
“Oh. Davvero?, fu la prima reazione.
“Sì. Prima due donne mi hanno violentata con l’idrante….”.
“Con tutto l’idrante? Mia cara, la cosa mi sembra altamente improbabile….”.
“No, no… con l’acqua. Elvira e l’altra… e poi… quest’uomo….”.
Katia scoppiò a piangere e si coprì il volto con entrambe le mani, lottando per ritrovare il controllo.
“Quest’uomo poi mi ha violentata. Mi ha portata in uno stanzino…. e mi ha violentata”.
Non poté continuare. Le lacrime soffocavano le sue parole.
“E’….tutto?”, chiese la Direttrice.
Katia non poteva credere a quel che udiva. Smise di piangere, col gelo nell’anima, e rimase a fissare allibita quel mostro di donna.
“Si è comportata bene?”, chiese la dottoressa Storti, ignorandola di colpo.
Bruto si strinse nelle spalle, guardando la ragazza con un sogghigno.
“Abbastanza, signora. Penso che abbia delle grandi potenzialità”, rispose lui.
“Se verrà affidata alla vostra guida personale, vero?”. La Direttrice si toccò lo chignon sulla nuca, poi girò intorno al tavolo appoggiandosi pesantemente al bordo. Da quando l’aveva fatta entrare, osservava attentamente la ragazza per valutarla. Ma questa teneva sempre gli occhi a terra. Allungò quindi una mano e prese fra le dita il mento di Katia per sollevarle il viso.
“Molto carina. Sì, capisco perché sia voi che Elvira e la sua amica vogliate...ehm..occuparvi della sua educazione. Katia? Katia Lopresti, suppongo. Elvira mi ha portato il vostro fascicolo, dopo quel piccolo incidente. E’ curioso”, disse piegando le labbra sottili in un sorriso, “vostra madre sembra convinta che siate una specie di pervertita sessuale”.
“Lo è davvero, signora. Quando la scopavo, non voleva lasciare andare il mio uccello, e….”.
“Risparmiatemi i dettagli, Bruto. So come vanno queste cose. Così..”, continuò con una voce più dolce, rivolta alla ragazza, “..sembra che vostra madre avesse ragione, benché sia stato un errore mandarvi qui per una correzione. Comunque, adesso che ci siete, dovete adeguarvi alle nostre regole”.
“Come…come potete fare questo?”, balbettò Katia. “Non potrà andare avanti per sempre. Vi prego, lasciatemi andare. Io non ho fatto niente di male”, fu la supplica della ragazza.
“Per rispondere alla vostra domanda”, disse in tono gelido la dottoressa Storti, in vena di spiegazioni,  “questo fa parte del mio lavoro. Sono riuscita a radunare intorno a me alcuni amici fidati. Quello che avete sperimentato oggi non capita a tutte le ragazze. Voi siete un caso speciale e quindi sarete scelta per un trattamento particolare. Per quanto riguarda la seconda domanda, resterete qui per tutto il periodo deciso da vostra madre. E’ tutto. Portatela in cella, Bruto, poi ne discuteremo.



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