Per quanto tempo era rimasta così, appesa per le braccia? Katia
non ne aveva idea. Aveva fatto dei sogni così strani, cose che solo qualche
tempo prima l’avrebbero fatta morire di vergogna solo a pensarci. Ma adesso
avevano un aspetto molto più reale e concreto, e le facevano dolere i seni e il
sesso. Pensava a Bruto, al suo corpo imponente e muscoloso, al suo membro che
penetrava nello stretto canale vaginale squarciando e allargando senza un
minimo di compassione o di rimorso. Katia poteva sentire ancora le mani
dell’uomo che la tenevano stretta ai fianchi mentre la sverginava sulla piccola
brandina, e come le stringevano i seni e le strizzavano i capezzoli. Poteva
sentire il suo respiro e i suoi denti sul collo mentre andava avanti e indietro
senza sosta dentro di lei. Sentiva ancora i colpi di cinghia che le colpivano
le natiche, immaginando i segni che lasciavano sulla sua carne, per incitarla,
mentre la scopava come una bestia.
“Ahhhhhhhhhhhhh!”.
Katia si risvegliò con un sussulto come se un lampo di luce
le fosse scoppiato nel cervello. Ma quando aprì gli occhi si ritrovò
completamente al buio. Si ricordò delle cinghie che la tenevano legata per i
polsi e degli anelli che le bloccavano le caviglie, mentre quelle due donne
terribili le attaccavano al corpo i fili elettrici. E poi…. poi la corrente,
quella terribile sensazione che le attraversava i seni e la fica. Si ricordò come
aveva cercato di urlare quando la scarica elettrica era diventata
insopportabile e come la palla di gomma avesse soffocato il suo sfogo. Poi più
nulla.
Katia si rese conto di non essere più appesa al soffitto.
Anzi, non era più nella stessa stanza. Ma era così buio li dentro che poteva
sentire lo spessore dell’oscurità sul viso. Qualcuno l’aveva legata in una strana
posizione, coi piedi più alti della testa. La ragazza cercò di muovere le
gambe. Poteva farle scivolare oltre lo strato di plastica che sentiva sotto di
sé, o almeno le parve che quella superficie fosse plastica. Poi provò a muovere
le braccia. Anche i lacci che le stringevano i polsi erano stati allentati,
come se avessero semplicemente voluto tenerla ferma mentre era priva di sensi,
per impedirle di farsi del male.
“Posso scappare”, pensò Katia, sentendo nascere dentro di sé
un’ombra di speranza. Sollevò la testa e sentì una fitta intensa al cervello.
Doveva essere una conseguenza dell’elettricità, pensò, facendo ancora pressione
con le braccia e le gambe per liberarsi dai legami. Le cinghie cedettero
facilmente.
“Uhhhhhhh!”. Improvvisamente udì un gemito.
Katia rabbrividì. C’era qualcun altro nella stanza. Udì
ancora lo stesso suono di prima. Veniva da qualche punto sotto di lei. Un’altra
vittima? Ci doveva essere un’altra ragazza, pensò, un altro dei ‘casi speciali’
affidati a Elvira e alla sua compagna.
“Hei! Chi c’è?”, provò a chiamare. Le rispose un mugolio. Katia
rimase un attimo in silenzio ma il suono non si ripeté. Forse la ragazza era
ferita? Katia riuscì a liberarsi delle cinghie e rimase seduta. Poi con cautela
fece penzolare le gambe oltre il giaciglio. Quello che non si aspettava era che
l’asse fosse sospesa sopra il pavimento. Credendo di appoggiare la pianta dei
piedi su di un piano solido, si trovò invece a cadere nella completa oscurità.
Il suo cuore quasi si fermò quando si sentì precipitare al
suolo. Le sembrava di essere caduta per decine di metri, certa di sfracellarsi
al suolo. In realtà si trovava a circa un metro e mezzo dall’asse su cui era
stata sospesa. Per fortuna cadde sulle mani riparandosi il viso con
l’avambraccio e rimase per alcuni secondi a terra, in preda ad un terrore da
animale in trappola.
“Ohhhhhhh!”.
Di nuovo quel mugolio. Era più vicino adesso. Forse la
ragazza era proprio lì accanto a lei. Katia si sforzò per alzarsi in piedi,
combattendo contro le vertigini. Si mosse nel buio aggrappandosi alle pareti
scivolose.
“Chi sei? Va tutto bene?”, disse Katia rivolta al buio.
“Uhhh… Sono Rosy. E tu chi sei?”, rispose il buio.
“Katia. Continua a parlare. Ti troverò”.
“Oh, fa troppo male. Sono tutta rotta. Mi ha violentata… e
poi…”. le parole della ragazza si persero fra i singhiozzi.
Katia sospirò procedendo a tentoni sul pavimento scivoloso
di pietra. non voleva più farsi sorprendere da ostacoli nell’oscurità che
l’avvolgeva. Era spaventata e disgustata. Le avevano gettate in quella cantina
come sacchi di rifiuti. Si fermò proteggendosi il petto con le mani. Aveva
sentito un rumore come di artigli di un piccolo animale. Topi! Quel posto era
pieno di topi. Fu presa da un tremore incontrollabile al solo pensiero di quelle
bestiacce. Ma quella gente era veramente capace di tutto!
“Ti prego, ho tanta paura. Aiutami. Sono qui!”, mormorò
Rosy.
Katia avanzò a tentoni, cercando di distogliere il pensiero
dai topi che sentiva muoversi attorno a loro. L’altra ragazza era scossa da un
attacco di tosse e Katia pensò che stesse per vomitare. La mano di Katia sfiorò
qualcosa e si ritrasse. Quando Rosy emise un grido, Katia capì che si trattava
della ragazza bruna che aveva già notato sull’autobus al loro arrivo, anch’essa
portata via dalle carceriere. La prese per mano.
“Pensavo che non mi avrebbero fatto nulla. Si diceva che eri
stata scelta tu come caso speciale, o qualcosa del genere. Io cercavo solo di
non farmi notare”, cominciò a raccontare Rosy sconvolta e con le lacrime agli
occhi. “Ma una notte sono venuti a prendermi e da allora non mi hanno più
lasciata in pace. Quell’uomo...”.
“Bruto?”, la incalzò Katia.
“Credo che si chiami così. Mi ha afferrata per i capelli e
inchiodata a terra mentre le altre due mi tenevano le gambe aperte. Poi mi ha
scopata…fino a che mi sono sentita spaccata in due”.
Katia rabbrividì, provando una strana sensazione di
eccitamento. Bruto aveva violentato anche Rosy. Apprese che l’aveva posseduta
più volte mentre Elvira, con l’altra guardiana e chissà chi altro ancora
stavano lì a godersi la scena. Katia si sforzò di provare repulsione a
quell’idea, ma scoprì di provare invece una sottile e perversa eccitazione. Rivide
la violenza su di lei, e provò un brivido.
“E poi mi hanno picchiata finché non ho perso i sensi. Mi
hanno rinchiuso qui dentro, poi ho visto portarci anche te. Mi hanno ordinato
di non dirti nulla quando ti appesero a quell’asse. Volevano che tentassi di
scappare e ti schiantassi al suolo, come è successo. Io volevo avvertirti, quando
ti ho sentita rinvenire, ma dissero che sarebbero stati a guardare e guai per
me se li avessi traditi”. Rosy terminò il suo racconto con un’altra serie di
singhiozzi.
“Va bene, capisco”. Sì, Katia capiva facilmente. La
direttrice usava il terrore per farsi ubbidire. Le ragazze non parlavano,
troppo spaventate per fare qualsiasi obiezione. I guardiani invece erano tenuti
buoni perché potevano approfittare delle ragazze e sfogare su di loro tutte le
loro fantasie più perverse.
Improvvisamente la porta della
cella si aprì. Katia si portò la mano al viso per ripararsi dalla luce che le
feriva gli occhi dopo la totale oscurità. Rosy emise un gemito, stringendosi
contro la compagna. “Sono venuti per me. sono venuti a prendermi!”, mormorò
terrorizzata.
Elvira e l’altra donna erano sulla
porta, armate di grossi bastoni. Quando si avvicinarono, Katia si lasciò
sollevare per le braccia e trascinare sul pavimento della cantina. La porta si
richiuse dietro di lei con un suono metallico che coprì il grido disperato di
Rosy.
“Spero abbiate fatto una bella
chiacchierata”, disse ironicamente Elvira, spingendola con il bastone.
“Metti le mani dietro la schiena
adesso”.
Katia fece come le aveva ordinato. Elvira
le premette il bastone in mezzo alla schiena mentre l’altra donna le legava i
polsi. Un’altra corda le stringeva il petto immobilizzandole le mani sui
fianchi e comprimendole i seni. Il bastone legato tra le scapole faceva
pressione tenendola ritta e facendola gemere di dolore.
“Così non cercherai di scappare un’altra
volta”, disse Elvira con un ghigno.
“Un’altra volta?, chiese stupita Katia.
Elvira scoppiò in una fragorosa
risata spingendo in avanti la sua vittima.
“E’ quello che avevi in mente
quando hai tentato di scendere dall’asse. Non dire che non è vero. Questa è
solo una precauzione”.
Percorsero tutto il lungo
corridoio, illuminato da una fila di lampadine gialle. Evidentemente si
trovavano nello scantinato dell’edificio. In quel posto poteva accadere di
tutto, anche un omicidio, e probabilmente qualcosa di orrendo sarebbe accaduto.
“Di qua!”. Elvira le diede un altro
spintone e la fece svoltare a sinistra in un piccolo corridoio secondario. Katia
incespicò e si scosse i capelli dal viso. Elvira aveva aperto la porta di una
stanza.
“Dentro, troia!”.
“Ah, Katia. Sono felice di
rivederti!”. Com’era diversa la direttrice Storti! E che orribile gioco stava
facendo con lei!.
“Io…”, balbetto Katia.
La signora alzò un braccio
facendole cenno di tacere. “Non devi aprir bocca, a meno che tu non voglia stare
attaccata a quello strumento pieno di elettricità per tutta la notte, fino ad
esserne arsa viva. E’ questo che vuoi?”
Katia scosse la testa con lo
sguardo fisso a quella donna alta e attraente. La dottoressa aveva uno strano
abbigliamento. Invece del severo tailleur che indossava in ufficio, ora aveva
uno strano completo di pelle che le lasciava liberi i seni rigogliosi. E questo
metteva in evidenza i capezzoli di un rosso intenso, che svettavano dritti e
gonfi. Nei suoi occhi scuri brillava una
luce che fece ricordare a Katia lo sguardo sadico di Bruto.
Qualcuno tossì alle sue spalle e Katia
osò dare un’occhiata alla stanza in cui si trovava. Al centro di una
piattaforma si innalzava un lungo palo di legno che terminava con una punta
metallica a forma di pene. Quello che colpì l’attenzione di Katia fu la
familiare scatola grigia, lì accanto. In quel momento il generatore era spento,
come poté vedere dall’indicatore. Si ritrasse spaventata, le braccia le
dolevano per la tensione esercitata dal bastone rigido contro la schiena.
“Bene Katia, vedo che ti ricordi la sensazione della corrente che ti
attraversa il corpo. Fra parentesi, in questi contesti puoi chiamarmi Leona.
Sai, dottoressa Storti suona così fuori posto in queste circostanza.
“No, no!”, urlò terrorizzata Katia
incespicando e cadendo di faccia
Elvira la rimise in piedi e la
spinse verso il mostruoso strumento al centro della stanza. Non riusciva a
immaginare cosa le avrebbero fatto. Gli altri la osservavano divertiti con un
sorriso canzonatorio. Leona accese il generatore di corrente.
“No, no. Vi scongiuro, non fatelo.
Non ce la faccio più!”, implorò Katia pur sapendo che era inutile, anzi
sicuramente serviva ad eccitare di più quelle anime sadiche.
“E’ un peccato che in questo
momento Bruto sia impegnato con la tua amichetta. Sono sicura che gli sarebbe
piaciuto farlo lui stesso, ma in ogni modo ci arrangeremo!”, disse Leona.
Le due guardie la spinsero in
avanti. Con le braccia legate lungo il corpo e il bastone fissato alla spina
dorsale in modo che non potesse nemmeno chinarsi, Katia non poteva fare
praticamente nulla per opporsi al loro volere. Fissò con terrore quell’orribile
strumento. Capiva che l’avrebbero impalata su quell’arnese e che avrebbero riso
di lei vedendola contorcersi impotente sul palo.
“Oh, no, no, nooooooo!”, gridò Katia
con tutta la forza e la disperazione che le restavano.
Ma Leona abbozzò solo un sorriso
crudele. Prese una scatoletta e spalmò un lubrificante sulla punta del pene
artificiale. Gli occhi di Katia si dilatarono dal terrore mentre continuava a
gridare e a piangere.
“Stai tranquilla, di crema ne ho
messa poca, ma è ad alta conduttività. Ti permetterà di assaporare meglio la
sensazione di essere accarezzata dal di dentro. Ora decidi. Puoi lottare oppure
startene tranquilla e lasciarci fare. Ma più ti dibatti, più ti penetrerà
dentro e più ti farà male”, le disse Leona.
Purtroppo aveva ragione. Anche se
era impensabile lasciare che quelle donne le facessero tutto quello che
volevano senza nemmeno tentare di ribellarsi. Alla fine la ragazza capì che non
aveva scelta. Cercò di staccare la sua mente dal corpo e lasciarle fare.
“Brava! Così va meglio. E penso
anche che i nostri giochi finiranno per piacerti”, disse Leona.
“Mai!”, mormorò Katia, mentre si
sentiva sollevare per le ascelle e veniva issata in cima al palo.
Improvvisamente avvertì il contatto
del metallo contro l’apertura della fica. Nonostante i buoni propositi, si
divincolò riuscendo quasi a sfuggire alla presa delle sue aguzzine e ricadde al
suolo con un tonfo.
“Questo è molto sciocco da parte
tua. Se loro non ti sostengono cadrai per terra col rischio di ferirti
seriamente”, disse Leona, “Ricordalo!”.
Katia provava un odio tremendo per
quella donna. Li odiava tutti. E odiava soprattutto quella sensazione di calore
che le saliva dal ventre, quando la riposizionarono. Sentì le labbra della
vagina che si distendevano per lasciare entrare quel freddo strumento di
acciaio sulla cui punta brillava il lubrificante. Le sue gambe si contrassero
non appena la punta metallica le sfiorò il clitoride ed entrò facendosi strada
nel condotto vaginale. Gemette ancora mentre lo strumento penetrava sempre più
a fondo fino a farla sentire spaccata in due. Alla fine si trovò a toccare
terra con la punta dei piedi. E così la lasciarono.
“Allora, visto che non è la fine
del mondo?”, le chiese Leona.
Il membro artificiale era sparito
tutto tra le sue cosce. I muscoli interni le dolevano. Era stata penetrata una
volta sola, in fondo, ed era successo molti giorni prima.
“Adesso puoi rimanere in punta di
piedi ma prima o poi cederai e finirai per appoggiare a terra tutta la pianta.
Naturalmente in questo modo lo strumento ti entrerà molto più a fondo”, le
disse Leona con un sorriso sadico.
Katia rabbrividì, girò il capo e
vide le altre due donne che ridevano. Se rimaneva appoggiata sulla punta dei
piedi alla pedana il dolore era ancora sopportabile. Evidentemente avevano
studiato appositamente l’altezza dello strumento. Dapprima pensò che forse poteva
tentare di ribellarsi, ma si rese subito conto che era una speranza assurda.
Allora cercò di sollevarsi il più
possibile per far uscire la punta dalla vagina, ma questo era impossibile, era
già al massimo dell’estensione. Tutto quello che poteva fare era rimanere ferma
e impalata da quell’orrido cazzo artificiale. Si sentiva piena di rabbia e di
vergogna.
“Non credere che sia tutto qui!”,
riprese Leona.
“Oh, vi prego, non ne posso più”,
disse Katia ormai esausta.
“Siamo qui proprio per provare i
tuoi limiti. Hai già sperimentato il generatore. Adesso ti farò provare
qualcosa di nuovo”.
“E’ una ragazza fortunata. Fottuta
fino in fondo senza preoccuparsi di rimanere incinta!”, osservò Elvira,
prendendo in mano una piccola pompa.
Alla pompa era attaccato un tubo
che terminava con un beccuccio. All’altro lato della pompa, un altro tubo più
grosso era collegato a un rubinetto.
“Davvero fortunata. Le altre
ragazze dell’istituto non ricevono tutte queste attenzioni. Adesso vedremo se
le merita. Elvira, le infili il tubo nell’ano”, ordinò Leona.
“C…cosa?”, riuscì a mormorare
incredula Katia.
“E’ solo un piccolo esperimento.
Vogliamo stimolarti in due punti. E’ come se ti facessi scopare da due uomini
contemporaneamente. Sicuramente è un’idea che ti è venuta più di una volta, vero?”.
“No, no. Mai!”, si difese Katia.
Elvira ignorò le proteste della
ragazza e le infilò la canna nell’apertura anale per un buon venti centimetri. Katia
lanciò un grido, il suo viso era più stravolto dalla vergogna che dal dolore.
Cosa le avrebbero fatto ancora?
Impalata sullo strumento, Katia attese coi nervi a fior di pelle di conoscere
la sua sorte.
Nessun commento:
Posta un commento